Urbino: Casa della Poesia |
Un altro tema di Pinocchio che Manganelli
porta in superficie nelle sue pagine “parallele” è quello della morte: il
burattino di Collodi, infatti, si trova spesso in condizione di rischiare la
propria vita - ed è una condizione bizzarra, a ben pensarci, per un personaggio
che a rigore non possiede nemmeno un corpo mortale. Il corpo di Pinocchio ha
una sensibilità misteriosa, che obbedisce a leggi imprevedibili: scopriamo,
quando Maestro Ciliegia lo lavora con la pialla e con la scure, che è capace di
provare solletico e dolore, ma non mostra alcuna sofferenza quando, tre
capitoli dopo, il burattino si addormenta con i piedi sul caldano e il fuoco
glieli brucia completamente. Non è del tutto chiaro se Pinocchio possa morire:
quel che è certo è che la morte lo sfiora di continuo, e Manganelli trova così
interessante questa prossimità di Pinocchio con la morte da arrivare a
congetturare che l’intero romanzo sia in realtà costruito attorno a questo tema
occulto. Marisa Bello e Giuliano Spagnul sembrano seguirlo in questa lettura
dedicando un gruppo di tavole ad alcuni personaggi che sono particolarmente
legati a questo tema.
Mangiafoco |
Il primo di essi è Mangiafoco, il
burattinaio del Gran Teatro dei Burattini, deciso a utilizzare il legno di Pinocchio per portare a termine
la cottura della sua cena. Il nome del burattinaio è già evocativo del rogo che
attende Pinocchio: il fuoco che qualche capitolo prima ha divorato i piedi del
burattino minaccia ora di bruciarlo completamente. La morte sfiora Pinocchio
per la prima volta, ma è una morte teatrale, recitata, come si conviene al
luogo - un teatro - e ai personaggi coinvolti - un burattinaio e dei burattini.
Mangiafoco è un Orco, ma, scrive Manganelli, «patisce una sorta di dicotomia.
Orco deve esserlo, si sa, ma della sua parte d’Orco si servirà a beneficio
dell’inconfessabile fondo di brav’uomo». Ne nasce quella che il parallelista
interpreta come una recita improvvisata e insieme già scritta: nel momento in
cui Pinocchio accetta la morte, si adegua alla parte dell’eroe e viene
graziato, come impongono i cliché teatrali: «forse nemmeno Mangiafoco
sperava tanto», conclude Manganelli.
Il grillo parlante |
Il secondo personaggio è il Grillo. Questa
volta la morte non è minacciata, ma inflitta: Pinocchio è così infastidito dai
rimproveri del Grillo-parlante da uccidere il pedante insetto assestandogli una
martellata in testa. Questo gesto sembrerebbe l’atto conclusivo della «storia
di Pinocchio col Grillo-parlante» (così la chiama Collodi nella rubrica del
capitolo IV). Ma il Grillo è, evidentemente, un personaggio più complesso di
quanto sembri: la sua ombra torna dalla morte, nel capitolo XIII, per cercare
di fermare Pinocchio ed impedirgli di raggiungere il Campo dei Miracoli.
Pinocchio non è sorpreso di rivedere il Grillo; il lettore adulto, d’altra
parte, non può che trovare inquietante questo ritorno dall’aldilà. Si fa strada
il sospetto che questo ambiguo personaggio sia da sempre compromesso con la
morte e che, al di sotto della sua irrefrenabile vocazione pedagogica fatta di
frasi fatte e luoghi comuni, si nasconda qualcosa di più misterioso. Il dubbio
si fa certezza nella lettura di Manganelli, che trova nel «fioco monito del
grillo» la conferma del fatto che la destinazione ultima di Pinocchio non sarà
il Campo dei Miracoli, ma «il paese dei morti». Il Grillo è fedele a se stesso
e continua a consigliare Pinocchio, ma stavolta «dà il consiglio di tutti i
morti a tutti i vivi, il consiglio disperato e impossibile: “ritorna
indietro”».
Il gatto e la volpe |
La fata alchemica |
Ma prima che i due assassini riescano nel loro intento, Pinocchio tenta la fuga. È in questa circostanza che incontra per la prima volta un altro personaggio centrale del romanzo, a cui i due artisti dedicano addirittura due tavole. Si tratta della Fata - che a questo punto della storia si presenta a Pinocchio nella veste di «bella Bambina coi capelli turchini». Manganelli, nel Pinocchio parallelo, conia per lei l’epiteto di «Stregofata», a sottolinearne l’ambiguità di fondo: personaggio enigmatico e arcano, la Fata imprigiona Pinocchio in un gioco di sevizie e dolcezze, di condanne e perdoni che proseguirà, da qui in poi, fino alla fine del libro. Manganelli la chiama anche, altrove, Fata alchemica, ed è così che Marisa Bello e Giuliano Spagnul intitolano una delle loro tavole. La Fata-bambina si rivela, fin dalla sua apparizione, in intimità con la morte: si rifiuterà infatti di aiutare Pinocchio che bussa alla sua porta sostenendo di essere morta e, così facendo, consegnerà il burattino agli assassini e alla sua fine. «Possiamo supporre», si chiede Manganelli, «che la Bambina sia la morta signora dei morti, la lunare regina delle tenebre? Essa è gelida, ignara, indifferente; morta da sempre, non capisce la morte, né il terrore di Pinocchio».
Il Gatto e la Volpe acciuffano finalmente
Pinocchio e lo impiccano: è un’esecuzione dal sapore evangelico (molto è stato
scritto sulle possibili letture cristologiche di Pinocchio), che si chiude con
un’invocazione al padre («Oh babbo mio! se tu fossi qui!…») chiaramente
allusiva. Nel romanzo di Collodi la morte - il Grillo ce l’ha insegnato - sa
essere provvisoria, e questa morte in particolare, così simile a una Passione,
già promette una resurrezione: ritroveremo Pinocchio, vivo e vegeto, nel
capitolo seguente, salvato dalla Fata e accudito, tra altri medici, proprio dal
Grillo-parlante che, chiosa Manganelli, «dalla morte nella stanzetta di
Geppetto, si è fatto un gran viaggiatore».
La prima parte qui: http://marisa-bello-e-giuliano-spagnul.blogspot.it/2017/05/andrea-maiello-pinocchio-un-libro.html
La prima parte qui: http://marisa-bello-e-giuliano-spagnul.blogspot.it/2017/05/andrea-maiello-pinocchio-un-libro.html
(a breve la terza e ultima parte)
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