Per Primo
Moroni: Philip K. Dick, i centri sociali e gli ombrelli di luce.
Uno dei cardini dell’opera dickiana è l’uomo come fautore di
socialità; l’uomo il cui fine è l’interagire tra umani.
Noi della generazione del ciclo storico passato, abitanti dei
vecchi centri sociali, vorremmo dare forma ai nessi esistenti tra le atmosfere
di un centro sociale e la narrativa dickiana amata da un compagno come Primo Moroni, che della capacità di cogliere nessi ha fatto il fulcro del suo
esistere.
Il fare socialità dickiano si interseca col fare creativo come
capacità peculiare dell’uomo. L’eroe della sua fantascienza è un uomo che
riscopre il rapporto della manualità creativa e intelligente, il cui fare
diventa metafora del costruirsi come umano. In Dick vengono esaltati piccoli
personaggi comuni, che aggiustano, reinventano, riciclano, e che insieme alla
lotta per la sopravvivenza rifondano l’essere umano creatore del proprio
destino attraverso la propria operosità, evitando la delega ad un’alta
tecnologia autoritaria e paternalistica, non solo ad appannaggio di pochi, ma
che ha creato un solco tra se e gli umani, esaltando una sua capacità
replicativa in cui nessuno inventa più, ma tutto si riproduce come copia sempre
più sbiadita di se stessa.
Per questo noi operatori visivi, come due piccoli personaggi
dickiani, vorremmo raccogliere materiali scartati dalla società dei consumi per
costruire macchine elementari, oggetti, pitture, spazi rimotivati nel senso e
nella carica emotiva. Questa installazione costruttiva e visiva, pensata per lo
spazio e la storia del Leoncavallo, costituirà un evento unico e non
ripetibile, tanto vorremmo forti i legami tra lo spazio del centro e le nostre
creazioni immaginarie.
“Il mondo
del futuro, per me, non è un luogo, ma un evento… una costruzione in cui non
esistono autore e lettori ma solo tanti personaggi in cerca di una trama.
Ebbene, non c’è trama. Ci sono soltanto loro e quello che fanno e dicono l’un
l’altro, quello che costruiscono per sostenersi individualmente e
collettivamente, come un grosso ombrello che fa passare la luce, ma non le
tenebre.” (P. K. Dick, discorso di Vancouver 1972).
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