Il lavoro che abbiamo fatto su “Pinocchio: un libro parallelo”
di Giorgio Manganelli, è partito da più letture dello stesso, da soli e insieme
ad alta voce. Ad ogni rilettura l’entusiasmo e il coinvolgimento lievitano fino
a portarci all’abbozzo di un progetto di dodici tavole. Alla definizione di
questo disegno complessivo, ha fatto seguito paradossalmente un rapporto con
l’operare che ci ha rapidamente allontanati dal programma iniziale, per farci
sentire quasi scagliati, malgrado noi stessi, in una modalità di lavoro tutta
emotiva e intuitiva. Le riletture del Pinocchio ora conducevano a una forte
dinamizzazione interiore in un continuo gioco di immagini, rimandi e
associazioni a tre (come stessimo dialogando con Manganelli). Sgombrato il
campo dal senso, dal contenuto, dal pensiero, dalla grande riflessione che
questo testo comporta, eravamo penetrati per un qualche misterioso pertugio
nell’immaginario manganelliano, e lì è scattato il gesto che si è diretto
bramoso verso la materia. La relazione creativa tra noi ha assunto una modalità
molto vicina all’improvvisazione jazz; potevamo fare degli assoli, o
colloquiare in un ritmo di lavoro serratissimo e dall’interazione fortemente
stimolante. Ma il lucido progetto iniziale, sprofondato sotto le maree delle immagini,
ne ancorava stranamente la direzione, e pur rendendoci sensibilissimi a tutto
ciò che il caso ci faceva incontrare, con fiuto sicuro ci guidava solo verso
ciò che era necessario. Pinocchio ci era entrato nei nervi e ci stava facendo
fare i conti con la nostra storia artistica. Pinocchio di Manganelli è uno
scandaglio del profondo che riporta in superficie, draga, restituendo reperti
ancora vivi, immagini insepolte. Il testo di Manganelli ci sembrava lasciar
trasparire e addensare il suo materiale biografico e letterario in un grosso
precipitato di elementi in permanente trasmutazione. Questo, istintivamente e
inconsciamente, ci ha portato a utilizzare materiali e modalità di lavoro del
nostro piccolo patrimonio creativo, esperito attraverso brandelli di linguaggi
e valori espressivi tra i più disparati. Quasi una furia onnivora che morde
spunti da fonti assai diverse. Della possibile mancata coerenza stilistica del
lavoro, non siamo riusciti a preoccuparci, tanto eravamo contenti che questa
veloce eccitazione creativa ci sembrava somigliasse proprio a Pinocchio, e
soprattutto a Manganelli. Ci sentivamo in sintonia. L’assemblaggio incessante
delle immagini, di opera in opera, ci conduceva a scegliere la trasformazione
metamorfica, la variazione ritmica; una tecnica pittorica sfumava su un
materiale, una figurazione collideva con un’astrazione, privilegiando spesso
dodecafonie e non melodie. Le nostre immagini somigliavano sempre meno a
illustrazioni, e dei contenuti narrativi di cui continuavamo a nutrirci ne
privilegiavamo i grumi più densi e rizomatici di significati plurimi.
Marisa
Bello e Giuliano Spagnul
12 tavole sul sito:
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