Amore, quello per l'arte, assolutamente ricambiato: i suoi migliori amici erano pittori, gli unici veramente in grado di 'vedere' e non semplicemente di 'leggere' gli scritti del Manga, il più immaginifico degli scrittori.
Per questo abbiamo voluto (o l'ha voluto il Manga, questo è tutto da definire) riunire tutte o almeno la maggior parte delle opere ispirate ai suoi libri (sempre che, trattandosi di lui, di libri si possa parlare). Opere dell'epoca e attuali. Opere di artisti che hanno letto Manganelli, e da allora non sono stati più gli stessi. Lietta Manganelli
Le opere esposte sono di: Nanni Balestrini, Paolo Beneforti, Paolo della Bella, Giuliano Grittini, Gloria Leonetti, Giuliana Maldini, Franco Nonnis, Gastone Novelli, Giovanna Sandri, Marisa Bello e Giuliano Spagnul.
Urbino. Casa della Poesia, sala dedicata a Pinocchio |
La mostra su “Pinocchio: un libro parallelo di Giorgio Manganelli” di
Marisa Bello e Giuliano Spagnul è stata esposta per la prima volta alla
Libreria Utopia di Milano nel 2007 e successivamente alla Galleria degli
artisti nel 2008. In questa seconda occasione Andrea Maiello (dottore di
ricerca in italianistica e autore di alcuni saggi sul Pinocchio di Manganelli) è
intervenuto con una serie di paralleli tra l’opera letteraria e le tavole
esposte. Qui di seguito riportiamo alcuni stralci dell’interessante intervento:
Italo Calvino scrive che Giorgio Manganelli, nel suo Pinocchio: un
libro parallelo, usa l’opera di Collodi «scrivendoci un libro sopra senza
cancellare il libro che c’è sotto». È una definizione impareggiabile, che
descrive bene il difficile equilibrio con cui Manganelli riesce ad edificare un
intero libro sui vuoti: eleggendo a oggetto privilegiato della sua attenzione
ciò che Collodi non scrive, Manganelli esplora nuovi itinerari di lettura fino
a costruire nuovi rapporti tra i personaggi, a schiudere significati inattesi e a
disegnare trame imprevedibili. In questo percorso, scrive Manganelli, è «tutto
arbitrario, tutto documentato»: non ci sono punti fermi, ma solo richiami ed
echi da cui, di pagina in pagina, il lettore si lascia attraversare.
Rappresentare il libro di Manganelli costituisce quindi, prima di tutto, una
sfida, perché significa confrontarsi con un materiale narrativo difficile da
dominare, fatto più da larve che da personaggi, più da allusioni che da eventi.
È un libro tutto incentrato sul potere della lettura, che si libera con forza
tanto maggiore quanto più gli iati e i silenzi del testo di Collodi si fanno
marcati. Marisa Bello e Giuliano Spagnul raccolgono molto bene questa sfida,
riuscendo pienamente nel difficile intento di rappresentare i silenzi e i vuoti
tra cui si fa spazio il testo di Manganelli. Non è impresa facile, perché richiede
la misura di “disegnarci sopra senza cancellare il libro che c’è sotto”, per
parafrasare Calvino. È una misura che i due artisti riescono a trovare e a non
perdere mai, di tavola in tavola; per questo è possibile percorrere le opere di
Marisa Bello e Giuliano Spagnul con le stesse strategie con cui è possibile
orientarsi nel Pinocchio parallelo: individuando cioè alcuni temi
fondamentali e inseguendone gli echi quadro dopo quadro.
alla catena |
Metamorfosi
Il tema della metamorfosi è forse quello più rappresentativo della
vicenda di Pinocchio: nell’immaginario comune, infatti, la storia di Collodi è prima
di tutto la storia di un burattino che diventa bambino. La metamorfosi finale
di Pinocchio, dal sapore pedagogico e un po’ stucchevole, è certamente quella
che maggiormente rimane impressa nella memoria dei bambini, che, prima ancora
di diventare lettori, si sentono raccontare la storia del burattino dagli
adulti. Eppure la trasformazione in essere umano non è l’unica trasformazione
vissuta da Pinocchio.
La prima delle tavole che fa riferimento alla metamorfosi è Alla
catena. Apparentemente sarebbe inappropriato parlare di metamorfosi, perché
in questa tavola, come è evidente, è rappresentato il burattino. Tuttavia le
metamorfosi, in Pinocchio, avvengono in due modi diversi: ci sono metamorfosi
vere e proprie, fisiche, che trasformano il burattino in un essere diverso, e
metamorfosi che hanno un valore simbolico o allusivo e che - non meno
importanti delle prime, soprattutto agli occhi del parallelista - non intaccano
l’aspetto di Pinocchio. Alla catena
rappresenta un episodio in cui Pinocchio è costretto a fare il cane da guardia
per sostituire Melampo, il cane di un contadino a cui Pinocchio ha cercato di
rubare dell’uva (siamo nel XXI capitolo). Il burattino non cambia fisicamente -
non diventa cioè qualcosa di diverso dal legno - ma, messo alla catena,
appunto, si trasforma simbolicamente in un animale, e uscirà cambiato da questa
esperienza: imparerà che la fame non giustifica una condotta disonesta, che non
è bene venire a patti con chi ruba e che non è utile né dignitoso infangare la
memoria dei morti. È solo una delle tante trasformazioni che subirà il protagonista,
che sembra incapace, nel corso di tutte le sue avventure, di rimanere ancorato
a una forma stabile, ad una definizione di se stesso. È, questa capacità “mercuriale”
del burattino, una delle doti che più colpiscono Manganelli, che segue
Pinocchio nelle sue varie avventure cercando di cogliere il valore segreto e
iniziatico di ogni trasformazione. Non sfugge infatti a Manganelli che «Pinocchio
è in grado di essere tutto ciò che gli si chiede» e che le sue trasformazioni «lo
interpretano e vogliono essere da lui interpretate; come accade delle
trasformazioni che non avvengono: ad esempio, diventar scolaro, o burattino
della compagnia drammatico vegetale».
il pescatore verde |
Anche la tavola intitolata Il pescatore verde evoca un episodio
che Manganelli annovera tra le metamorfosi di Pinocchio. Siamo nel XXVIII
capitolo, in cui il burattino corre il rischio di essere messo in padella dal
pescatore verde, indifferente alle proteste del povero Pinocchio, che viene scambiato,
tra acciughe e naselli, per un raro esemplare di “pesce burattino”. L’episodio,
per un lettore tradizionale, risulta più comico che significativo: non è così,
però, per il parallelista, che non può sottovalutare una simile regressione a
pesce - per Manganelli, infatti, già la sostituzione di Melampo aveva
costituito «il primo passo degradante verso la condizione umana». E non è un
caso (almeno per Manganelli) che anche in questo episodio vi sia la presenza di
un cane, Alidoro, che, alla fine, salverà il burattino dalla padella. La
classificazione del pescatore verde è letta da Manganelli come una fase rituale
che anticipa di poco un’ulteriore «trasformazione simbolica». Infarinato per la
frittura, Pinocchio pare, scrive Collodi un «burattino di gesso»: essi, chiosa
Manganelli, «nella gerarchia burattinesca erano assolutamente imparagonabili,
infimi, a petto dei burattini di legno». Secondo Manganelli, quindi, «prima di
essere gettato nell’olio bollente, Pinocchio subisce una degradazione simbolica».
il paese dei balocchi |
Il tema della metamorfosi attraversa altre due tavole di Marisa Bello
e Giuliano Spagnul. Si tratta di due opere che, quasi bilanciando idealmente le
precedenti, sono dedicate a trasformazioni che coinvolgono il corpo del
burattino in senso proprio. Nella tavola intitolata Paese dei balocchi è
rappresentato il celebre episodio del capitolo XXXII in cui Pinocchio, durante
il soggiorno al Paese dei balocchi, si trasforma in ciuco. È un episodio che
tutti ricordiamo, perché rappresenta un perfetto contrappasso per il burattino che ha marinato la scuola per seguire Lucignolo. Pinocchio è un libro che, prima ancora di
essere letto, ci viene raccontato dagli adulti, che enfatizzano volentieri una
trasformazione che sembra punire la negligenza di un burattino che ha marinato
la scuola per seguire Lucignolo. L’attenzione di Manganelli è naturalmente
attratta da ben altro: il parallelista sottolinea immediatamente e con solennità,
nell’incipit del capitolo, che «Pinocchio
è sulla soglia della prima trasformazione corporale», che lo porterà ad
attraversare la soglia, mai prima varcata, che divide il mondo vegetale da
quello animale.
la morte di Pinocchio |
La seconda tavola dedicata a una metamorfosi corporale è quella
che racconta l’ultima trasformazione di Pinocchio: quella da burattino a
bambino. È senza dubbio la metamorfosi più celebre dell’intero romanzo, ma allo
stesso tempo la più controversa. Tralasciando le ragioni filologiche che
portano a sospettare di questo finale (Collodi scrisse di non ricordare di aver
chiuso in questo modo il libro), alla metamorfosi conclusiva di Pinocchio il
lettore può reagire in due modi: salutare il nuovo corpo di bambino come il
premio finale per la buona condotta del protagonista, o considerare il
burattino abbandonato sulla sedia come una innocente vittima sacrificale.
Manganelli, dal canto suo, scrive esplicitamente che «la forma della
trasformazione per noi è la morte: e le ultime righe, che trattano della
trasformazione di Pinocchio, raccontano la morte di Pinocchio»: ecco allora che
non c’è titolo più appropriato, per la tavola dedicata alla metamorfosi finale
del burattino, di quello scelto da Marisa Bello e Giuliano Spagnul: La morte
di Pinocchio.
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