Riporto qui alcune considerazioni che tra la fatica
e l’emozione del momento ho cercato di dire all’inaugurazione della mostra:
Organizzare questa mostra e la serie di eventi che
seguiranno è stato particolarmente faticoso e impegnativo:
disguidi, equivoci, vecchie ruggini, una fatica ‘del fare’ rispetto a cui i due
protagonisti, Primo e Antonio, con la loro storia, hanno contribuito ad acuire.
Responsabile, innanzitutto, la loro inattualità: non riusciamo a collocarli nel
nostro presente, né lasciarceli alle spalle, essi si pongono davanti a noi
senza indicarci alcuna via maestra ma solo una ricerca che si vuole continua e
incessante a cui tutti noi, orfani inconsolabili delle utopie, non siamo
affatto avvezzi. E poi quell’essere scomodi a tutti nel loro privilegiare il fare rete e tessere
relazioni, che è pratica assai più difficile del dividere, dividerci (se non
proprio picchiarci come si faceva di consuetudine in quei, pur esaltanti, anni
Settanta) così cara a noi di sinistra. Non voglio parlare qui della mostra,
potete vederla da voi e giudicarla, voglio unicamente accennare brevemente a
due insegnamenti (tra i tanti possibili) che abbiamo appreso nel lavoro su
questo lungo collage sull’orda d’oro di Nanni Balestrini e Primo Moroni (di
cui, per inciso, ricorrono i trent’anni dalla prima pubblicazione). Il primo è
sulla necessità di non voler separare , in quegli anni di rivolta che vanno
dagli anni Sessanta ai Settanta, i buoni dai cattivi. È tutta storia nostra nel
bene e nel male di cui non dobbiamo rendere conto ad altri che a noi stessi.
Anni di piombo è la definizione con cui i nostri avversari hanno tentato di
ridurre la primavera in un gelido inverno. Possiamo dire oggi, guardando
all’esempio dei No Tav, non ci sono riusciti! Il secondo è la legittimità del
parlare di quegli anni da parte di tutti. Non
esiste un punto di vista privilegiato dal fatto di aver vissuto quegli
anni. Non occorre esserci stati né tanto meno essere degli storici accreditati
per prendere posizione. Ciò che conta, e vale per tutti, è la capacità di
rapportare i fatti storici al proprio vissuto, alla propria esperienza. Portare
l’astratto, a cui inevitabilmente appartiene la memoria, il passato, al
concreto, a ciò che si sta vivendo, sperimentando ora. ‘L’oltraggioso soggettivismo di quelle carte’
autorizza il desiderio di prendere posizione da parte di tutti, giovani o
vecchi che siano. Questo collage è stato esposto la prima volta nel 1999 al
Leoncavallo grazie soprattutto alla compagna Melina Miele (alla cui memoria
dedichiamo idealmente la nostra mostra) in occasione del 1° anniversario della
scomparsa di Primo Moroni in un grande allestimento in cui lo abbiamo associato
a un grande romanziere-filosofo, a lui molto caro, Philip Dick e al nostro, per
modo di dire, Foucault italiano: Ernesto De Martino. In quella occasione
Antonio Caronia ci scrisse questo sul libro dei commenti:
“Grazie
per un tuffo nel passato, che non esiste, e una proiezione nel futuro, che non
esisterà. Grazie per aver assemblato dei fatti della mia vita assemblando la
vostra. Grazie per il coraggio dei piccoli vasai, dei piccoli costruttori di
giocattoli, dei piccoli artigiani, dei piccoli assemblatori di parole.
Io non
sono niente di più.
Primo e Philip non ci guardano da nessun cielo: sono diventati dei
piccoli pezzi di noi.”
Anche Antonio da 5 anni non c’è più, anche lui è
diventato un piccolo pezzo di noi.
Con Primo Moroni e Antonio Caronia
Grazie
Il programma e tanto altro qui: https://moroniecaronia.noblogs.org/
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