Urbino: Casa della Poesia |
Un terzo tema che attraversa le tavole di Marisa
Bello e Giuliano Spagnul - e che permette di dividere i quadri in tre insiemi,
tutti costituiti da quattro tavole - è quello della nascita. Se non stessimo
parlando di Pinocchio, sarebbe stato naturale partire da qui: la logica
impone che la nascita sia la premessa necessaria per la metamorfosi e la morte.
Pinocchio, tuttavia, non è un libro che segue la logica, e il suo
intreccio rende precaria ogni gerarchia. A ben pensarci la nascita di Pinocchio
è già una metamorfosi: Geppetto costruisce un burattino, ma il pezzo di legno
che compare all’inizio del romanzo può ascoltare, parlare, sentire dolore e
solletico. Ha perfino dei precisi tratti caratteriali, visto che è dalla sua
insolenza che nasce il bisticcio tra maestro Ciliegia e Geppetto. E ancora: nel
finale del romanzo Pinocchio si addormenta burattino e si sveglia bambino in
carne e ossa, ma la presenza del vecchio burattino inanimato sulla seggiola
rende difficile capire da dove provenga il suo nuovo corpo e cosa sia accaduto
di preciso (a rigore, il legno non si è trasformato com’era accaduto nel Paese
dei Balocchi, tant’è che nel finale abbiamo due Pinocchio, uno di carne e uno
di legno). Metamorfosi, morti, nascite si legano in modo così stretto, nel
testo di Collodi, da rendere spesso difficile un’analisi separata dei tre temi.
C'era una volta |
La
prima tavola in cui è possibile
rintracciare il tema della nascita si intitola C’era una volta. Il
titolo riprende l’incipit del romanzo, in cui Collodi, dopo aver
utilizzato la formula introduttiva tradizionale delle fiabe, non resiste alla
tentazione di destabilizzare il lettore presentando un protagonista del tutto
insolito («C’era una volta…. — Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori. —
No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno»). È significativo
che per la tavola sia stato scelto questo titolo, perché sottolinea bene, mi
pare, la volontà di rappresentare non tanto la nascita del burattino (pur
presente nel quadro), quanto l’origine della narrazione, che sarà la vera
protagonista del libro parallelo. Manganelli si sofferma con attenzione su
questa «frode iniziale», che «ha dato accesso sì al luogo della fiaba, ma di
fiaba diversa»: proprio su questo re assente inizierà infatti a prendere forma
la prima storia parallela. Ma non per questo dimentica il pezzo di legno: «quel
legno», scrive Manganelli, «è materia che chiama la distruzione e la cenere, e
insieme vuole diventare e trasformarsi». L’inizio della storia racchiude già tutto
il complesso impianto simbolico che sarà al centro del libro parallelo, e porta
in sé, in nuce, quella vocazione alla morte e alla metamorfosi che inseguirà Pinocchio
per tutto il romanzo.
Nel paese di Acchiappacitrulli |
Acchiappacitrulli è la tavola dedicata al luogo in cui Pinocchio
si reca, nel capitolo XIX, per denunciare il furto delle monete d’oro che il
Gatto e la Volpe hanno realizzato ai suoi danni. Nel mondo alla rovescia di
Acchiappacitrulli, essere un «povero diavolo» è una colpa: per questo
Pinocchio, nel momento in cui chiede giustizia, viene arrestato e condannato a
quattro mesi di prigione. Sarà liberato in seguito a un’amnistia, ma solo dopo
aver assicurato al proprio carceriere di essere un «malandrino» e di avere
quindi diritto alla scarcerazione. Come le morti e le metamorfosi, anche le
nascite, in Pinocchio, possono essere simboliche, e dietro questa
disavventura di Pinocchio Manganelli intravede una storia parallela. Nel mondo
distopico di Acchiappacitrulli Pinocchio vive la sua catabasi, una degradazione
dalla quale uscirà rigenerato. Della pena di Pinocchio, osserva Manganelli, «non
sappiamo nulla, quasi fosse una sospensione di vita»: tornerà dunque alla vita
solo quando la pena avrà fine. Il carcere è, per l’innocente Pinocchio, il
contrappasso necessario per accedere simbolicamente ad una nuova vita.
Sapore di madre |
Il tema della nascita è evocato fin dal titolo
nella tavola Sapore di madre, la seconda che Marisa Bello e Giuliano
Spagnul dedicano alla Fata, uno dei personaggi più affascinanti del libro di
Collodi. «Dovunque sia», scrive Manganelli, «in questo libro senza Re, essa è la
Regina, la Regina solitaria ed infeconda, la Signora degli animali, la
vecchina, la donnina stanca sotto il peso delle brocche, la padrona della
Lumaca, la Bambina morta; ma anche, la metafisica adescatrice di un fratellino,
un figlio». La Fata è ubiqua, in Pinocchio: anche quando è assente, se
ne percepisce la presenza o se ne sospetta l’intervento, spesso mediato dagli
animali che mostra di saper governare secondo i suoi desideri. L’oscuro
rapporto che lega Pinocchio e la Fata attraversa tutto il Pinocchio
parallelo e occupa alcune delle sue pagine più belle. Manganelli
riconosce tra Pinocchio e la Fata un legame occulto: la Fata era Bambina ed è cresciuta,
a differenza di Pinocchio, che vorrebbe crescere e non può. «Entrambi mancano,
dai lati opposti, l’umano» e «questa posizione intermedia, centrifuga, li lega
duramente». La vocazione alla maternità della Fata trova un destinatario
perfetto in Pinocchio, che non è mai stato generato e che per tutto il romanzo sarà irretito dalle
dolci sevizie dell’unica madre che gli è possibile.
Il pescecane |
L’ultima tavola, intitolata Il Pescecane, è
dedicata a uno degli animali più rappresentativi del romanzo di Collodi: è nel
ventre di questo pesce, infatti, che si conclude finalmente la ricerca di
Geppetto. Ma il Pescecane è anche uno
dei personaggi più terribili, mostruoso fin dalle descrizioni con cui viene
evocato nei capitoli precedenti, che lo rappresentano «più grosso di un
casamento di cinque piani». il Pescecane è animale brutale e violento: noto tra
al Delfino per la sua ferocia, ci viene presentato addirittura con un
soprannome («l’Attila dei pesci») che si è guadagnato «per le sue stragi e per
la sua insaziabile voracità». Un simile dispensatore di morte appare del tutto
agli antipodi rispetto al tema della nascita. Eppure il Pescecane è l’unico
personaggio che abbia in un certo senso partorito Pinocchio, portandolo alla
luce dal suo ventre. Pinocchio, scrive Manganelli, «è immerso in un corpo, nei
suoi umori viscidi; gli è stata imposta un’esperienza fetale, che deve subire […].
Il Pescecane appare come una versione infinitamente fonda della madre, qualcosa
di casualmente gravido, gestante degli abissi, bocca divorante navi e vegliardi
e burattini, orifizio che, negli stessi singulti della decadenza,
assonnatamente genera». Ed ecco che Pinocchio, infine partorito dal Pescecane,
torna al mondo mutato nell’animo, pronto finalmente ad assumere il ruolo di
figlio nei confronti di Geppetto e della Fata. Il capitolo successivo lo vede
prendersi cura di entrambi diligentemente, con abnegazione e spirito di
sacrificio: questo parto paradossale - il solo in qualche modo confacente alla
sua natura eccentrica - lo restituisce al mondo profondamente cambiato. Rinato,
trasformato, o forse in qualche modo già morto: un bambino vero prenderà presto
il suo posto e del vecchio Pinocchio non rimarrà che «una reliquia», «una salma».
Ma, conclude Manganelli, «quel metro di legno continuerà a sfidarlo».