lunedì 5 agosto 2024
giovedì 8 novembre 2018
La camera chiara: Ibridazioni dall'11 al 23 dicembre 2018
Ibridare vuol dire mescolare cose diverse e porta
con se, inevitabilmente, un senso di impurità, di contaminazioni che aprono a
una prospettiva di futuro incerto e pericoloso. Non è un caso che i collage
nascano come pratica sperimentale all’interno di quelle avanguardie artistiche
che hanno sancito la frattura, mai più sanata, all’interno dell’arte tra un
procedere progressivo di evoluzione stilistica e quella serie di catastrofi
continue che dominano ormai da oltre un secolo il nostro attuale fare
artistico. In uno spazio come La camera chiara che si pone, proprio per il suo
nascere all’interno di un laboratorio di stampa chimica, al riparo dalla ormai
totale egemonizzazione del mondo digitalizzato questo nuovo lavoro di
ibridazioni tra fotografia, disegno e materiali vari vuole essere una nuova
piccola tappa verso un’idea di creatività il più possibile libera dai dettami e
dalle costrizioni che questa parola ha finito per assumere oggi. Un mondo in cui l’estetica sembra
prefabbricata e pensata a proprio uso e consumo, che sembra voler produrre
originalità ma che rimane invece invischiato dentro la ripetizione del sempre
uguale che si vuole sempre diverso. Fabbricare nuove immagini ha
senso, per noi, solo nella sua accezione di creazione di possibili associazioni
che permettano nuovi modi per vedere ciò che pur essendo visibile non è
immediatamente percepibile. È
il vecchio gioco dell’arte, mai fine a se stessa, che stabilisce ponti tra il
nostro sentire, empatizzare, collegare immagini a sensazioni e a nuovi
significati, insomma a ibridare materia e pensiero per rendere possibile ciò
che ancora non è ma che potrebbe essere.
La camera chiara di via Giorgio Jan 10 a Milano. Inaugurazione martedì 11 dicembre ore 18,30.
Dal 11 al 23 dicembre - orari lun.-ven. 9-13 e 14,30-18 sabato 9-13
sabato 2 giugno 2018
Con Primo Moroni e Antonio Caronia
// CON PRIMO MORONI E ANTONIO CARONIA //
Mostra a cura di Giuliano Spagnul e Marisa Bello
Dal 31 maggio al 29 giugno 2018
c/o Fondazione MUDIMA, mudima.net
Via A. Tadino 26, Milano | 02.29409633
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GIO 31.05 | CON PRIMO MORONI E ANTONIO CARONIA: INAUGURAZIONE
h18.30 | Presentazione della mostra e delle attività (a cura di G. Spagnul, P. Gallerani e A. Di Monte).
h19.00 I Piero Lenardon legge Antonio Caronia, Primo Moroni, Carlo Emilio Gadda.
h19.00 I Piero Lenardon legge Antonio Caronia, Primo Moroni, Carlo Emilio Gadda.
h20.00 | Raffaele RAF Scelsi, Primo Moroni interprete dei comportamenti metropolitani nella modernità.
h20.45 | John N. Martin, Emozionale 1°.0. Ricordando La luna vent’anni dopo.
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SAB 09.06 | SFIDE DEL PRESENTE
h11.00 | Ignazio M. Gallino, Matteo Guarnaccia, Franco Schirone, Dinnni Cesoni, Giorgio Pisani, Venti anni di Controcultura – frammenti dell’underground italiana 1965-1985.
h12.15 I Alberto Abo Di Monte, Abi Normal, Cascina Autogestita Torchiera Senz’Acqua. UAU: l’archivio di Un’ambigua Utopia. Come ci siamo riusciti.
h15.00 | Nico Gallo, Daniele Barbieri, Gennaro Fucile, Giuliano Spagnul. La sinistra, la fantascienza e Antonio Caronia. Marco Philopatlegge alcuni inediti di Un’ambigua utopia.
h16.30 | Tiziana Villani, La città: geografie esistenziali e materialismo degli affetti.
h12.15 I Alberto Abo Di Monte, Abi Normal, Cascina Autogestita Torchiera Senz’Acqua. UAU: l’archivio di Un’ambigua Utopia. Come ci siamo riusciti.
h15.00 | Nico Gallo, Daniele Barbieri, Gennaro Fucile, Giuliano Spagnul. La sinistra, la fantascienza e Antonio Caronia. Marco Philopatlegge alcuni inediti di Un’ambigua utopia.
h16.30 | Tiziana Villani, La città: geografie esistenziali e materialismo degli affetti.
h17.30 | Off Topic Lab, Un’ambigua ucronia, performance.
h18.30 | Canedicoda, concerto elettronico.
h18.30 | Canedicoda, concerto elettronico.
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GIO 21.06 | PRIMO E ANTONIO
h18.30 | Bruna Miorelli, Primo Moroni, più di un divulgatore.
h19.30 | Nanni Balestrini, su Primo Moroni e L’orda d’oro.
h20.00 | Eleonora Fiorani, La sfida allo sguardo del corpo virtuale.
h20.30 | Officina Multimediale, Metrature del presente: Primo, Antonio e una chiave a brugola.
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// LA MOSTRA //
31 maggio // 29 giugno
Dal lunedì al venerdì
Dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19
Maggiori informazioni sulla mostra a questo indirizzo
Inaugurazione "Con Primo Moroni e Antonio Caronia" alla Fondazione Mudima di Milano
Riporto qui alcune considerazioni che tra la fatica
e l’emozione del momento ho cercato di dire all’inaugurazione della mostra:
Organizzare questa mostra e la serie di eventi che
seguiranno è stato particolarmente faticoso e impegnativo:
disguidi, equivoci, vecchie ruggini, una fatica ‘del fare’ rispetto a cui i due
protagonisti, Primo e Antonio, con la loro storia, hanno contribuito ad acuire.
Responsabile, innanzitutto, la loro inattualità: non riusciamo a collocarli nel
nostro presente, né lasciarceli alle spalle, essi si pongono davanti a noi
senza indicarci alcuna via maestra ma solo una ricerca che si vuole continua e
incessante a cui tutti noi, orfani inconsolabili delle utopie, non siamo
affatto avvezzi. E poi quell’essere scomodi a tutti nel loro privilegiare il fare rete e tessere
relazioni, che è pratica assai più difficile del dividere, dividerci (se non
proprio picchiarci come si faceva di consuetudine in quei, pur esaltanti, anni
Settanta) così cara a noi di sinistra. Non voglio parlare qui della mostra,
potete vederla da voi e giudicarla, voglio unicamente accennare brevemente a
due insegnamenti (tra i tanti possibili) che abbiamo appreso nel lavoro su
questo lungo collage sull’orda d’oro di Nanni Balestrini e Primo Moroni (di
cui, per inciso, ricorrono i trent’anni dalla prima pubblicazione). Il primo è
sulla necessità di non voler separare , in quegli anni di rivolta che vanno
dagli anni Sessanta ai Settanta, i buoni dai cattivi. È tutta storia nostra nel
bene e nel male di cui non dobbiamo rendere conto ad altri che a noi stessi.
Anni di piombo è la definizione con cui i nostri avversari hanno tentato di
ridurre la primavera in un gelido inverno. Possiamo dire oggi, guardando
all’esempio dei No Tav, non ci sono riusciti! Il secondo è la legittimità del
parlare di quegli anni da parte di tutti. Non
esiste un punto di vista privilegiato dal fatto di aver vissuto quegli
anni. Non occorre esserci stati né tanto meno essere degli storici accreditati
per prendere posizione. Ciò che conta, e vale per tutti, è la capacità di
rapportare i fatti storici al proprio vissuto, alla propria esperienza. Portare
l’astratto, a cui inevitabilmente appartiene la memoria, il passato, al
concreto, a ciò che si sta vivendo, sperimentando ora. ‘L’oltraggioso soggettivismo di quelle carte’
autorizza il desiderio di prendere posizione da parte di tutti, giovani o
vecchi che siano. Questo collage è stato esposto la prima volta nel 1999 al
Leoncavallo grazie soprattutto alla compagna Melina Miele (alla cui memoria
dedichiamo idealmente la nostra mostra) in occasione del 1° anniversario della
scomparsa di Primo Moroni in un grande allestimento in cui lo abbiamo associato
a un grande romanziere-filosofo, a lui molto caro, Philip Dick e al nostro, per
modo di dire, Foucault italiano: Ernesto De Martino. In quella occasione
Antonio Caronia ci scrisse questo sul libro dei commenti:
“Grazie
per un tuffo nel passato, che non esiste, e una proiezione nel futuro, che non
esisterà. Grazie per aver assemblato dei fatti della mia vita assemblando la
vostra. Grazie per il coraggio dei piccoli vasai, dei piccoli costruttori di
giocattoli, dei piccoli artigiani, dei piccoli assemblatori di parole.
Io non
sono niente di più.
Primo e Philip non ci guardano da nessun cielo: sono diventati dei
piccoli pezzi di noi.”
Anche Antonio da 5 anni non c’è più, anche lui è
diventato un piccolo pezzo di noi.
Con Primo Moroni e Antonio Caronia
Grazie
Il programma e tanto altro qui: https://moroniecaronia.noblogs.org/
sabato 23 settembre 2017
Opere da viaggio: un lavoro a quattro mani
Opere da viaggio è un lavoro a quattro mani con una tecnica che un po’ semplicisticamente si potrebbe definire collage. In realtà più propriamente sono opere-oggetto che ibridano fotografie (provini e frammenti fotografici) con disegni, schizzi e altri possibili materiali vari; il tutto montato su ex contenitori trasparenti per diapositive. La suggestione di una forma libro è stata inoltre accentuata da un retro-copertina ricavato da elementi vari (un’intera stampa fotografica, cartine geografiche, ecc.). L’origine di questo lavoro si può far partire da una produzione di ‘scatole poetiche’ all’interno di un’installazione “Omaggio a Primo Moroni: Philip Dick i centri sociali e gli ombrelli di luce” (qui) al Centro Sociale Leoncavallo nel 1999. Una ricerca proseguita poi nei piccoli collage “Opere di piccolo formato” alla Galleria degli Artisti nel 2012 (qui) e nella mostra “Noi non camminiamo mai soli” (qui) alla libreria Isola nel 2015. Piccole opere, piccoli oggetti che richiedono una certa attenzione e una lentezza nella visione da cui le tendenze moderne dell’arte spesso tendono ad allontanarci.
Ma cosa significano e, soprattutto, come li fate? Ci viene spesso chiesto. C’è un progetto iniziale? Come si dispiega il racconto, sempre che un racconto vi sia, soggiacente, all’intersecarsi di queste immagini? La nostra ricorrente risposta, in questi casi, è che il significato lo dà chi osserva l’opera; il racconto chi la legge in quel momento. Noi abbiamo operato per suggestioni, per assemblaggi istintivi, spontanei, costringendoci a selezionare in modo sempre più stringente fino al risultato che avvertiamo più giusto. Solo istinto allora? Puro inconscio? Sì, tenendo conto però che l’inconscio di chi lavora artisticamente è il prodotto di una storia personale di lavoro costellata di studi, tentativi, errori, prove e ancora prove. Un piccolo o enorme, a secondo dei casi, patrimonio di lavoro che fa passare per istintivo e immediato un modo di operare che in realtà è ben più mediato e meditato. E il racconto, la narrazione che si avverte scaturire da queste immagini assemblate assieme? È solo ausilio di chi osserva e legge dall’esterno? E per i produttori, per chi fa l’opera? Anche chi fa può in una certa misura (se pur con più difficoltà) distanziarsi e offrirsi al libero gioco delle interpretazioni, chiarendo altresì che le proprie non possono che essere, paradossalmente, più opinabili, in quanto provenienti proprio da chi è coinvolto come autore. L’autore fa, non sa; offre un significato che gli sfugge e che può ritornargli solo attraverso quei significati plurimi e diversi tra loro che osservatori esterni siano in grado, e vogliano, offrirgli.
martedì 5 settembre 2017
Presentazione "Opere da viaggio"
Se guardiamo la fotografia nella sua dimensione
fisica e emozionale e non semplicemente nel suo carattere di immagine
riproducibile all’infinito, non possiamo non vedere quanto la sua chimica, il
suo supporto materiale, il tempo di ripresa, di sviluppo, di trasmissione
dell’immagine siano pervicacemente legati alla nostra corporeità tattile,
olfattiva e a tutto il nostro sentire fisico, e ancora ai nostri tempi
soggettivi, emozionali. Difficile vederne la continuità nel mondo “immateriale”
e diffuso (nel proliferare dei più svariati mezzi di ripresa) del digitale. Un
mondo legato ad un antico dio è morto e un nuovo dio, o forse più dei, ne hanno
preso il posto. In questo lavoro che qui presentiamo, in una commistione a
quattro mani tra fotografia e disegno, si è voluto evidenziare proprio il
carattere di unicità della pratica fotografica nella sua breve ma intensa
storia. Una unicità che può permettersi il confronto e perfino l’ibridazione
proprio con la sua storica rivale: la pratica pittorica, piuttosto che con il suo
presunto successore tecnologicamente più avanzato. Certo, stiamo parlando di
una pratica, quella fotografica, finita; che ha possibilità d’avvenire solo in
termini di nostalgia o di hobby con gusto retrò. Ma è una pratica la cui storia
resta comunque inscritta nei nostri corpi novecenteschi e che resterà in quelli
del nuovo millennio sotto forma di traccia, impronta indelebile nel percorso
filogenetico della nostra specie. Opere
da viaggio sono pertanto la memoria di un sentire e di un vedere non più
attuali ma che continueranno a permanere come memoria del corpo. L’unione con
la pratica artistica per eccellenza, quella capacità che risale agli albori
dell’uomo: l’incidere segni e spargere colori su superfici materiali sta qui a
rappresentare, in questi lavori ibridi, il senso di un viaggio che non può
terminare se non con la fine del viaggio umano. Dentro plastificati facsimili
di copertine di libri, in realtà vecchi contenitori trasparenti di diapositive,
si dispiegano nuove configurazioni visive che annunciano un nuovo percorso di
viaggio, quello delle memorie delle cose morte: la fotografia, in prima
istanza, ma anche la pittura, almeno in quell’idea più consueta di pura
imitazione del reale (distrutta fin nelle fondamenta da tutta la variegata
esperienza artistica del Novecento). È un viaggio, qui esemplificato
soprattutto dall’elemento fotografico più semplice: il provino a contatto, e
dallo schizzo, disegno abbozzato e altri resti pittorici; elementi poveri per
un percorso che si immagina lungo: il percorso delle sopravvivenze, dei resti e
delle eccedenze che continueranno a insidiare, con esiti imprevedibili, un
mondo futuro spettralmente dominato da un immaginario virtuale, tanto più
immateriale quanto più innestato sotto pelle. Sotto quella nostra pelle che
ancora ci ostiniamo a voler abitare.
domenica 23 luglio 2017
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